In questi giorni, dopo il monopolio di Sanremo, si torna parlare di prescrizione e di conseguenza della giustizia italiana. Dal dibattito una cosa è chiara: la giustizia non funziona! Lo è chiaro anche a loro stessi. Uno studio del ministero della giustizia nel 2019 colloca l’Italia al 35esimo posto su 42 stati per efficienza del sistema giudiziario. Da osservatore della giustizia civile come professionista e di quella penale come vittima di reato, temo che la valutazione sia corretta. Me lo conferma ogni anno non il contenuto ma la forma dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario alla quale ho il privilegio di assistere a Firenze.
Si tratta di una "forma" che non tiene conto delle più banali regole della comunicazione. Una platea alla quale per quattro ore vengono lette relazioni scritte senza interruzione. Una comunicazione solo verbale, senza né immagini né video in una sala dove non si riesce a vedere il palco. Le prime file piene di autorità per cui i cittadini sono in fondo. Tutti i relatori che ringraziano tutti all’apertura della loro relazione con evidenti ripetizioni inutili e noiose. Dati letti senza immagini di grafici, linee di tendenza elementi comparativi e tanto altro.
Una forma che fa perdere contenuti anche interessanti dove un giovane, abituato alla comunicazione moderna, non resisterebbe più di 10 minuti senza annoiarsi. E non parlo della giusta simbologia come il senso di solennità dell’entrata, le toghe, i militari in alta uniforme. Quella è simbologia corretta e necessaria. Parlo più semplicemente di modalità di comunicazione e di relazione con il cittadino estraneo ai meccanismi della Giustizia ma importante fruitore dei risultati.
Questo secondo me è un indicatore chiaro della disfunzione presente in tutto il sistema giustizia. L’assenza quasi totale di altre culture (scientifiche, ingegneristiche, logico/matematiche, comunicazione, operative) al di fuori di quella giuridica; la carenza di un uso massivo e intelligente della tecnologia; la mancanza di confronto continuo e sistematico con altri paesi, sono alcuni degli elementi che è facile, da esterno, notare.
Io credo che un paese si misuri dalla capacità di fornire ai cittadini la possibilità di avere salute, istruzione e giustizia. Non parlo di istruzione che non conosco, ma il confronto della gestione della giustizia verso la gestione della sanità è impietoso. Sanità seconda al mondo (dato OECD), giustizia 42esima in Europa. Sanità e giustizia sono due sistemi complessi ma con alcune differenze significative: il primo è un sistema aperto. Si confronta a livello mondiale e ormai lo scambio di procedure e soluzioni è quasi in tempo reale: ad esempio i protocolli di cura per un tumore al seno sono gli stessi a livello mondiale per i paesi sviluppati. Il secondo è un sistema chiuso, locale, italiano, con pochissimo confronto con altre realtà. Il sistema salute si basa sul metodo scientifico per stabilire se una cura è efficace o no. Il sistema giustizia cambia in continuazione, con una metodologia difficile da comprendere, senza mai chiaramente misurare l’effetto dei cambiamenti sul suo “output”: vittime soddisfatte, colpevoli rieducati e reinseriti, reati scoperti e in diminuzione.
Sono convinto, e ne conosco, che ci siano magistrati, avvocati, poliziotti bravissimi che fanno questo mestiere con grande passione e competenza. Vorrei però in cuor mio che gli operatori di questo sistema si rendessero conto del “vero” stato della giustizia e lavorassero insieme (fra di loro, con la politica e con i cittadini) per migliorarla perché una giustizia migliore rende senza dubbio un paese un paese migliore.
Voglio però concludere ringraziando i magistrati e gli avvocati che fanno questo lavoro con il cuore e la passione, professionalità e impegno. Come ho detto ce ne sono e sono tanti. Purtroppo per loro lavorano in un sistema confuso e arretrato ma lo fanno, spero spesso, con lo spirito giusto. In particolare la mia gratitudine va a quei giudici che hanno “la tensione ideale, la curiosità intellettuale, l’attitudine all’ascolto e all’empatia con l’umanità dolente che si affaccia quotidianamente alle aule di giustizia e che rifuggono da quel malinteso senso di orgoglio della funzione, malattia che mina quel senso critico, quella sensibilità umana, e quel timore costante di errare che ogni giudice deve avere quando esercita la funzione – pressoché sovrumana – del giudicare gli altri” (Domenico Riccardo Peretti Griva citato nella relazione introduttiva della Presidente della Corte di Appello). L’umanità dovrebbe venire prima di tutto anche in un giudice o in un avvocato!
* Vice presidente
Associazione Lorenzo Guarnieri Onlus
www.lorenzoguarnieri.com
Questo articolo è tratto da Il Centauro ridvista di ASAPS