In tre paesini di montagna vivevano tre tizi un po’ strani:

Antonio, detto l’Elvetico nano;

Luigi, detto il Mediocre scadente,

Zebedeo, soprannominato il Subdolo bifido.

I tre vivevano nel proprio paesino e avevano in comune la passione di suonare il piffero ad alto livello.

Come tutte le persone poco sveglie e ignoranti. erano molto presuntuosi. Ognuno era convinto di essere il musicista più esperto. Erano talmente pretenziosi e tronfi che non si preoccuparono neanche di farsi spiegare come funzionava il piffero. Addirittura, non si erano nemmeno accorti che i loro pifferi erano difettosi: producevano solo due note musicali, al massimo tre. Suonavano per lo più da soli, davanti a uno specchio, sognando di avere un giorno un grande successo di pubblico e di critica.

Talvolta suonavano anche assieme ad altri. Quando succedeva, sentivano soltanto le note del proprio piffero. Non ascoltavano le note degli altri, anzi non ascoltavano proprio nessuno. Non chiedevano neanche informazioni: così non avevano la minima idea di che cosa fosse la musica che avrebbero dovuto suonare col piffero. Non avevano ritmo, né accordo, né melodia! Tanto che, quando suonavano, i cani dei tre paesini si mettevano ad ululare, provocando crisi di pianto nei piccoli e di nervi negli adulti. Ma nessuno osava ribellarsi perché oltre che arroganti erano anche prepotenti, come spesso succede ai poveri di spirito.

Finché questo avveniva in piccoli paesini, il fatto era tuttavia irrilevante.

Niente scalfì la convinzione dei nostri eroi di essere dei gran musicisti e un bel giorno decisero di scendere, uno alla volta, a valle per regalare agli abitanti di una città molto più grande dei loro paesini il piacere di ascoltarli. Soprattutto, per avere la soddisfazione di essere apprezzati e diventare famosi.

Antonio si fece accompagnare da sua moglie e dai suoi tre figli che, secondo lui, l’avrebbero ispirato.

Luigi partì da solo, ma lungo la strada accettò di farsi accompagnare da un giovanotto sedicente abile politico, che subito nominò suo portavoce o, meglio, porta piffero, per sentirsi meno mediocre e avere un po’ di calore umano.

Zebedeo, invece, arrivò quasi di nascosto, in modo subdolo, cercando, inizialmente, di non farsi notare. Lo accompagnava un suo fedelissimo servo barbuto, che si esprimeva in falsetto e aveva il pregio di conoscere la città dove stavano andando.

Cani scodinzolanti, giovani festanti, donne sorridenti, vecchi claudicanti col bastone e gendarmi con le piume sul cappello scendevano sulla via a seguire i tre musicisti, man mano che arrivavano in città. Quando si fermarono in piazza, sul gradino più alto del sagrato della chiesa, saltarono fuori anche il prete e la sua perpetua.

Antonio, ergendosi in punta di piedi in tutta la sua scarsa statura per apparire più alto disse: “Amici, grazie al mio piffero niente sarà più come prima. Sono qui per farvi dono della mia musica, suoneremo e canteremo assieme canzoni nuove!

Io so come si fa!”

Poi ringraziò moglie e figli che lo ascoltavano annoiati. Per sfogare il senso della propria inferiorità, l’Elvetico nano si adoperò affinché dodici poveri giornalieri venissero messi in mezzo a una strada.

Luigi non poté fare che un discorso breve e mediocre: “Sono certo che vi farò contenti. Vedrete che io e voi, con la musica del mio piffero, invecchieremo meglio di un losco individuo a voi ben noto che invece sta invecchiando male!”

Zebedeo: “Non vi donerò soltanto la dolce musica del mio piffero ma anche la mia saggezza fatta di gravità e di moti dell’animo, mi farò aiutare da una donna, una cantante bravissima! Con lei osserveremo la Luna e prevedremo il futuro. Zebedeo, forse per il suo aspetto da parroco ispirato, ma bifido, suscitò in un animo debole una forte emozione tanto da fargli gridare: “Vedo la luce! Vedo la strada! Vedo la direzione! Non navigheremo più a vista!”.

 

Battuto il piede tre volte, gonfiate le gote come otri, separatamente e in momenti diversi, Antonio, Luigi e don Zebedeo avevano poi dato fiato ai loro strumenti. In tutte e tre le esibizioni, alte e forti si erano levate le note discordanti in sequenze senza ritmo, né accordo, né melodia.

I cani latrarono, i fanciulli urlarono, le donne agitarono i grembiuli come fruste, i vecchi rotearono i bastoni, i gendarmi agitarono i manganelli, il prete e la perpetua facevano gli scongiuri in nome di tutti gli dei di tutte le religioni, finché tutta la città all’unisono si precipitò su tutti e tre i malcapitati e li colpì con lo strumento a disposizione: i cani con i denti, i fanciulli con i pugni, le donne con i grembiuli arrotolati, i vecchi con i bastoni, i gendarmi con i manganelli, il prete e la perpetua con l’acquasantiera e l’aspersorio.

In tutti e tre i casi smisero solo quando furono troppo stanchi …

La notizia si diffuse rapidamente e quando i nostri tre, sbuffando e arrancando, tornarono ai loro rispettivi paeselli, furono accolti dai fanciulli al canto di:

I PIFFERI DI MONTAGNA ANDARONO A SUONARE E FURONO SUONATI!

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