Da anni ormai tutti si chiedono del perché sulle vetture è installato il dispositivo black box, ma la domanda principe che tutti ci facciamo è la seguente: “è affidabile la scatola nera?”

Il dibattito è acceso e la popolazione addetta ai lavori si divide in chi sostiene l’affidabilità della piccola scatoletta e chi invece ne scredita l’attendibilità.

In soccorso ai primi arriva Generali Jeniot che ha sviluppato un’applicazione non distruttiva che sfrutta i movimenti ad altissima velocità di un robot Delta Quattro di Omron per testare i parametri chiave delle black-box da installare a bordo delle auto degli assicurati.

 

Le scatole nere piacciono alle compagnie assicurative, perché permettono di chiarire le dinamiche relative a furti e incidenti, riducendo le frodi e incentivando i comportamenti virtuosi alla guida, ma piacciono anche agli assicurati, che proprio grazie a questi strumenti possono beneficiare di  sconti sulle polizze.

Ma esse sono affidabili? Per affinare l’attendibilità dei risultati output (in uscita) delle black box, i produttori e le compagnie assicurative conducono veri e propri crash test, simili a quelli effettuati per la sicurezza dei passeggeri, finalizzati, però, a perfezionare la stima del danno materiale e dunque del danno assicurativo registrato dalle black-box.

Per trovare un’alternativa non distruttiva, ma anche più efficiente ed economica, al problema dell’affidabilità, Generali Jeniot ha brevettato, insieme alla società di prodotti telematici Viasat, e successivamente sviluppato, un nuovo metodo di collaudo.

Si tratta di una soluzione basata sull’utilizzo di un robot Delta Quattro Adept di Omron, programmato per sottoporre le scatole nere alle stesse accelerazioni e decelerazioni che verrebbero registrate su un’autovettura durante un crash test o altre situazioni simulate di circolazione stradale.

Questa applicazione innovativa è impiegata sia per il collaudo delle scatole nere degli assicurati del Gruppo Generali, sia per quelle prodotte e distribuite da terze parti.

Il Robot Jada è in grado di replicare, a livello di velocità, accelerazioni e decelerazioni sui 3 assi, il movimento di una scatola nera installata su un’auto.

La valutazione dell’affidabilità del dispositivo viene condotta da un robot che muove la black-box come se fosse a bordo di un veicolo che subisce un urto.

JADA è stato progettato non solo per replicare gli incidenti, ma anche per automatizzare tutta la parte di valutazione del test, partendo da una curva accelerometrica pregressa che viene “data in pasto” al robot. Il segnale di accelerazione risultante dalla movimentazione viene registrato e confrontato con quello di un accelerometro di riferimento di grande precisione. Qui avviene la comparazione automatica per rilevare le eventuali differenze nel picco accelerometrico e le variazioni di velocità sui singoli assi e sulla risultante. Il dato finale è un report che riporta sia i grafici, sia i dati accelerometrici e di velocità, con gli scarti rispetto al sensore di riferimento.

 

 

A differenza dei crash test tradizionali, nei quali si può tutt’al più variare la velocità di impatto, JADA consente di intervenire anche sulla curva accelerometrica. Il robot viene di fatto istruito a replicare un impatto pregresso di cui si conosce la dinamica reale.

Nello specifico, un algoritmo sviluppato ad hoc permette al robot di apprendere le differenze fra il movimento eseguito e quello richiesto e di ripeterlo finché non rientra entro limiti di tolleranza predefiniti. Si porta il robot a seguire una traiettoria partendo da un target, il software misura automaticamente l’errore e lo coregge fino a farlo rientrare in un range prestabilito”.

 

 

La programmazione a bordo robot si basa su un sistema Linux con kernel real-time che permette la lettura al decimo di millisecondo del segnale che arriva dall’accelerometro. Ciò garantisce la ricezione di un segnale molto accurato. Per il resto, tutto è configurabile. Il robot può essere istruito per eseguire una serie di task predefiniti che possono variare per numero di esecuzioni e, come detto, per curve accelerometriche: l’operatore può modificare i picchi, aumentarli, tagliarli, oppure filtrarli.

I vantaggi della soluzione sono abbastanza evidenti: si evitano i costi relativi all’acquisto, alle riparazioni e allo smaltimento delle auto impiegate nei crash test tradizionali, si riduce il personale (da tre addetti a un solo operatore), si accorciano i tempi (sia quelli per l’esecuzione dei test, sia quelli per ordinare pezzi di ricambio), ma soprattutto si possono scegliere le curve accelerometriche per replicare vari tipi di impatto, e sempre con lo stesso livello di affidabilità.

Un grande contributo al taglio dei tempi e dei costi deriva dall’automazione delle procedure di comparazione: il confronto accelerometrico, un’attività che di norma richiede molto tempo per via del confronto e dell’allineamento fra i segnali registrati sulla scatola nera e quelli registrati dal sensore di riferimento, viene svolto interamente da algoritmi sviluppati all’interno del software di JADA.

Quindi il dispositivo introdotto da Generali Jeniot per valutare l’affidabilità delle scatole nere risulta, come si apprende dalla sua descrizione, un valido strumento, sia per la precisione dei risultati che della sua intrinseca capacità di testare le scatole nere minimizzando gli ingenti costi che si affrontano per la realizzazione dei crash tests.

Non sono chiare però le modalità con le quali esso valida l’affidabilità dei dispositivi che sottopone a test.

Esso “muove le scatole nere nello spazio” secondo una traiettoria ben definita a priori, che segue il comportamento di un usuale crash test o di un incidente stradale. Da ciò è possibile estrarre il report contenente i dati di output della scatola nera testata e confrontarlo con i dati in input al robot sulle condizioni di test da seguire.

Una domanda che ci poniamo è:

“Le prove di validazione, su quale campione di scatole nere sono state effettuate?” Se mi limitassi a valutare la risposta di un unico dispositivo, sarei, di certo lontano dall’obbiettivo di validarne l’affidabilità.

Sarebbe opportuno testare un numero considerevole di dispositivi uguali, per una determinata tipologia di urto alla volta, al fine di valutare i dati in output dal sistema e cercarne minuziosamente le deviazioni rispetto ad uno standard di riferimento.

Solo così potrei valutare l’affidabilità di un dispositivo e di tutti i dispositivi dello stesso tipo.

 

 

 

https://www.tecnelab.it/approfondimenti/storie/crash-test-addio-laffidabilita-delle-scatole-nere-ora-si-testa-con-i-robot