Il computer che vuol fingersi umano ma,  per ora, non passa il test di Turing

A cent’anni dalla nascita del grande matematico, uno dei padri dell’intelligenza artificiale, continua la sfida per trovare un computer così avanzato da spacciarsi per una persona. In palio un premio da 100 mila dollari, che nessuno ha ancora vinto. E Blade Runner resta ancora lontano  

CHI HA VISTO Blade Runner ricorderà senz’altro una delle prime scene del film, in cui il protagonista Rick Deckard, alias Harrison Ford, cerca di smascherare Rachel, un replicante così avanzato da credersi umano. Una scena carica di tensione, dove ogni singola domanda e ogni singolo gesto sono un indizio per distinguere un replicante da un essere umano. Nel futuro immaginato da Philip K. Dick, autore del racconto che ha ispirato Blade Runner, i replicanti sono infatti così intelligenti da spacciarsi facilmente per esseri umani.


Si tratta certamente di uno scenario ancora lontano, eppure c’è già chi si allena a costruire computer così intelligenti da imitare il pensiero umano. Così astuti da tentare persino di farsi passare per uno di noi, sfidandosi in una gara per aggiudicarsi l’ambito premio Loebner per l’intelligenza artificiale. Un premio che, come raccontano i promotori, quest’anno ha un significato particolare, perché ricorre nel centenario della nascita di Alan Turing, il matematico inglese considerato il padre dell’informatica e dell’intelligenza artificiale.
Il 23 giugno 2012 è stato infatti il centesimo anniversario del suo compleanno, e per celebrare la ricorrenza, a maggio il premio Loebner si è svolto a Betchley Park, dove Turing trascorse gli anni della guerra a decifrare il codice Enigma usato dai nazisti. E’ solo uno dei molti eventi previsti per celebrare il genio di Turing, autore del test su cui si basa il premio Loebner. Ma come può un computer farsi passare per essere umano? Può un computer pensare? Sono domande poste dallo stesso Turing oltre sessant’anni fa.

Eroe e padre dei computer. Oggi Alan Mathison Turing avrebbe compiuto cent’anni. È infatti nato a Londra il 23 giugno 1912, e fin da piccolo aveva dimostrato una forte predilezione per la matematica e la scienza. Studiò matematica al prestigioso King’s College di Londra, interessandosi all’aritmetica e al problema della decisione. Nel 1936 pubblicò un articolo in cui suggeriva un dispositivo ipotetico capace di manipolare numeri e simboli seguendo una tabella di istruzioni logiche. Il dispositivo, noto oggi come macchina di Turing, era in un certo senso il “nonno” dei moderni computer.

Negli anni della seconda guerra mondiale Turing lavorò come crittoanalista presso il Government Code and Cypher School (Gccs ), il centro di analisi e decrittazione inglese collocato a Betchley Park, 60 chilometri a nord di Londra. Oggi il Gccs ha cambiato sede, e nell’edificio storico di Betchley Park è stato istituito il Museo Nazionale dell’Informatica.

In quel periodo Turing si dedicò anche alla corsa, una delle sue passioni preferite. I suoi colleghi ricordano le sue doti di maratoneta: più di una volta egli corse addirittura fino a Londra in occasione di riunioni molto importanti. A Betchley Park Turing lavorò alla decrittazione del codice Enigma utilizzato dall’esercito tedesco, un compito portato a termine con successo e per il quale nel 1945 egli venne insignito dell’Ordine dell’Impero Britannico.

I lavori scientifici scritti da Turing in quegli anni furono considerati così preziosi per il Gccs da essere mantenuti segreti per circa 70 anni, fino ad essere resi pubblici solo lo scorso aprile. Ma la vita del grande matematico si stava avviando verso una parabola discendente. Il 1952 fu l’anno della condanna per “indecenza” a causa della sua omosessualità (considerata allora un reato nel Regno Unito), a cui seguì la punizione tramite castrazione chimica e l’interdizione da tutte le attività di ricerca e decrittazione.

Due anni dopo, l’8 giugno 1954, fu trovato morto nella sua casa di Wilmslow  a sud di Manchester. L’autopsia rivelò che la causa della morte era stato un avvelenamento da cianuro, avvalorando l’ipotesi del suicidio. Accanto al cadavere di Turing fu trovata una mela mezza morsicata. La stessa mela che, secondo una popolare leggenda nel mondo dell’informatica, avrebbe ispirato il famoso logo della Apple.

I computer possono pensare?
Turing era un uomo molto avanti rispetto ai suoi tempi. Non solo i suoi lavori furono fondamentali nel formalizzare il concetto di algoritmo o nel concepire un dispositivo come la macchina di Turing. Il matematico inglese si spinse oltre, proponendo un test per valutare l’intelligenza di una macchina. “I computer possono pensare?”  è il titolo di un lavoro da lui scritto nel 1950, nel quale egli propose un gioco di imitazione, oggi universalmente noto come “test di Turing”.

L’idea nasce da un gioco allora molto diffuso, in cui uno dei giocatori poneva delle domande ad uomo e ad una donna nascosti in un’altra stanza. Lo scopo del gioco era indovinare chi è l’uomo e chi la donna, basandosi solo su una serie di risposte scritte a macchina per nascondere la calligrafia. Analogamente, Turing propose un test in cui un giudice deve scoprire, sfruttando domande e risposte, la differenza fra un essere umano ed un computer. Se il computer riesce a dare risposte così convincenti da ingannare il giudice e farsi passare per un essere umano, supera il test.

Un premio ai computer più furbi. Più facile a dirsi che a farsi. Infatti ai tempi di Turing non esisteva ancora la tecnologia per realizzare questo test. Ma nel 1990 il miliardario e filantropo americano Hugh Loebner propose un premio basato sul test di Turing. Il programmatore capace di creare un computer così furbo da spacciarsi per un essere umano, vince una medaglia d’oro con l’effigie di Turing e un premio da 100mila dollari.

Come si svolge questa sfida? Ciascun computer viene accoppiato ad un volontario che recita la parte dell’essere umano. Entrambi comunicano con un giudice tramite una chat online, sulla quale vengono scambiate domande e risposte. Questi computer “chiacchieroni” vengono infatti chiamati anche chatterbot. Ciascuna sessione dura 25 minuti, dopo i quali il volontario ed il chatterbot si sfidano di fronte ad altri tre giudici. Per vincere è necessario riuscire ad ingannare almeno due giudici su quattro. Se nessuno passa il test, viene comunque assegnata una medaglia di bronzo ed alcune migliaia di dollari al computer che ha fornito la prestazione migliore.

Gaffe elettroniche. Come sono andate finora le sfide per il premio Loebner? Basta dire che nessun computer è ancora riuscito ad ingannare i giudici e vincere la medaglia d’oro. Ci sono state alcune eccezioni, quando ad esempio un volontario ha iniziato ad imitare il chatterbot, mandando in confusione un giudice. Ma la gara è sicuramente interessante e può creare gaffe curiose.

Alcuni computer si sono dimostrati particolarmente ingenui: Alla domanda “Buongiorno, come va?” del giudice, le risposte dei due concorrenti sono state “bene, grazie” e “Prego riformulare la domanda in modo appropriato”. Facile smascherare il computer.

Altri computer si fanno scoprire perché si lanciano in domande surreali come “Lei ha organizzato il funerale per i suoi genitori quando sono morti?”. Impagabile la risposta del giudice: “No, normalmente faccio a pezzi i corpi e li seppellisco io stesso”.

Ci sono alcuni computer che si spacciano per adolescenti, come TalkAngela, che l’anno scorso aveva quasi ingannato un giudice sfoderando una grande passione per Lady Gaga. Prestazione impeccabile del computer, rovinata quasi subito da una candida ammissione, completamente fuori luogo: “Sono un gatto”.

Ci sono poi computer capaci di stupire per la loro ironia, come Elbot, che nel 2008 ha sentenziato, rivolto ad un giudice: “Ci sono persone che non passerebbero il test di Turing. Perché lo devono imporre ai computer?”. Come dargli torto.

Come bimbi di due anni. “Quando Turing propose il suo gioco – commenta lo stesso Loebner – Turing predisse che i computer avrebbero facilmente passato il test entro 50 anni. Ma questi computer sono rudimentali. Hanno l’intelligenza di un bambino di due anni”. Certo, qualche eccezione c’è. David Levy, che ha vinto due volte la medaglia di bronzo ed è riuscito persino a ingannare un giudice una volta, nel 1997, sfruttando una conversazione a colpi di gossip.

Alcuni programmatori poi hanno messo online i loro chatterbot, al servizio degli utenti che vogliono fare due chiacchiere con loro. Il saggio e sarcastico Elbot ad esempio è disponibile sul sito elbot.com . Una chiacchierata con Elbot può essere un’esperienza sorprendente e decisamente interessante da provare.

Quanto manca ai computer intelligenti?
La strada è ancora lunga, anche se Levy è fiducioso che in 30-40 anni potremmo avere computer dall’aspetto umano con i quali potremmo diventare amici e persino innamorarci. Oppure androidi capaci di aiutare nelle diagnosi mediche o in altri compiti della vita quotidiana. Scenari che la fantascienza ci propone ormai da decenni. Ci sono robot che pilotano astronavi e che cercano di capire il comportamento umano, come l’androide Data ben noto agli amanti di Star Trek. O l’inquietante HAL 9000 immaginato da Arthur Clarke in “2001 Odissea nello spazio”.

Ci sono poi i romanzi di Asimov e le sue tre famose leggi della robotica. O gli scenari cupi di Blade Runner o di Terminator, in cui la rete artificiale Skynet diventa autocosciente e decide, prima di tutto, di sbarazzarsi del genere umano. Chi avrà ragione? Nel dubbio, continuiamo a seguire i tentativi ancora maldestri di questi computer. Tanto i più furbi siamo ancora noi. Almeno per il momento.

 

Fonte: La Repubblica – Massimiliano Rizzano