DINAMICA IMPULSIVA: CRITERI PRATICI E METOLODOLOGIA APPLICATICA  DEI TRE “Principi di conservazione” DELLA MECCANICA DEGLI URTI

La pubblicazione di questo articolo è stata autorizzata dall'Autore Per. Ind. Luciano Brentonego.

Dopo aver disquisito in alcuni miei precedenti articoli sugli “Urti” [Dal titolo: “Quel fenomeno meccanico chiamato URTO” – pubblicati sulla Rivista mensile FOLIO, Organo Ufficiale del Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e Periti Industriali Laureati (CNPI) di Roma – nrr. 01/2003 – 7-8/2003 e nr.10/2003 – cfr. sito web: http:/ old-www.cnpi.it e su FORUM, link del sito web di ASAIS (Associazione per lo Studio e l’Analisi degli Incidenti Stradali) di Milano: http:/www.asais.it], con il presente articolo intendo tentare l’impresa di completare ed approfondire, l’ulteriore illustrazione dei criteri pratici e la corretta metodologia applicativa, dei fondamentali tre principi di conservazione della meccanica degli urti, appena accennati a chiusura del mio articolo pubblicato sul nr.10/2003 della Rivista FOLIO in narrativa.

Spero esser riuscito nell’intento, o almeno poter catturare la curiosità di quei tanti colleghi Analisti/Ricostruttori di incidenti stradali, che mai si stancano di studiare, approfondire e/o sperimentare, specifiche problematiche nel delicato e complesso settore dell’Infortunistica della strada.

Entrando nel merito del tema proposto, va doverosamente premesso da parte nostra, che affinché un modello ricostruttivo della meccanica (cinematica e dinamica) di un incidente stradale possa definirsi la fedele rappresentazione reale del fatto accaduto ed analizzato, com’è noto, deve simultaneamente soddisfare a tutti e tre fondamentali principi della meccanica degli urti, che dettagliatamente risultano i seguenti:

1°)- il principio di conservazione delle quantità di moto (Q) ante e post-urto del sistema costituito dai mobili venuti a conflitto, rispetto al punto d’urto rilevato sugli stessi, parametrato ad un asse cartesiano preso come direzione di riferimento del sistema analizzato;

2°)- il principio di conservazione dell’energia cinetica o bilancio energetico (E), ante e post-urto del medesimo sistema;

3°)- il principio di conservazione dei momenti delle quantità di moto ( M= Qxa) e dei momenti angolari (I=Jxw), sempre del citato sistema, calcolati rispetto al punto d’urto planimetrico (PPU), rilevato e/o rilevabile sulla platea stradale.

Per una migliore comprensione di quanto verrà esposto in seguito, partendo dai dati oggettivi rilevati in merito sulla scena del sinistro, si ritiene doveroso dare alcune sintetiche ed essenziali spiegazioni in ordine agli elencati principi di conservazione appena illustrati.

Principio di conservazione delle quantità di moto (Q)

Esso pone la condizione generale, che S Q = S Q’, e cioè che la somma vettoriale delle quantità di moto ante urto (Q) dei veicoli venuti a collisione reciproca, dev’essere uguale alla somma vettoriale delle quantità di moto post-urto (Q’) degli stessi mezzi (oppure in altre parole, che la risultante vettoriale, Q1 + Q2 , delle quantità di moto ante-urto, coincida (graficamente ed analiticamente) in modulo, direzione e verso con la risultante vettoriale, Q’1 – Q’2, delle quantità di moto post-urto degli stessi mobili in conflitto.

Principio di conservazione dell’energia cinetica o bilancio energetico

Tale principio pone la condizione generale che: S Ej = 0, e cioè che il bilancio impostato sull’energia cinetica (Ec) posseduta dai mobili in arrivo (entrata) all’urto, dell’energia cinetica da questi dissipata nella fase d’urto (Ed) e dei lavori compiuti in traslazione e/o rotazione (energia cinetica) e/o comunque dissipati nella fase post-urto (La – Lb), dia valore nullo. Doveroso verificare nei calcoli poi, il reale valore desunto del ben noto ed importante coefficiente di restituzione elastica nella fase d’urto (k) che, come si sa, ha valore 0 per gli urti perfettamente anelastici, e valore 1 per gli urti perfettamente elastici.

L’applicazione corretta di questo principio di conservazione, consente di verificare pertanto, sia la correttezza dei valori delle velocità determinate con l’applicazione del precedente principio di conservazione delle quantità di moto (Q), sia la correttezza degli angoli (inclinazioni) dei vettori delle suddette velocità rispetto alla direzione assunta a riferimento del sistema studiato, in arrivo (entrata) e uscita (fuga) dall’urto, dei mobili interessati.

Principio di conservazione dei momenti delle quantità di moto ( M= Qxa) e dei momenti angolari (I= J x w )

Tale principio pone la condizione generale che: S ( M+J*w) = S (M’+ J’*w’), e cioè che la somma algebrica dei momenti delle quantità di moto (M) e dei momenti angolari (J*w) all’urto dei mobili, calcolati rispetto al reciproco punto d’urto, e collocato sul punto d’urto planimetrico (PPU) reperito sulla platea stradale, sia uguale alla somma algebrica dei momenti delle quantità di moto e dei momenti angolari della fase post-urto degli stessi, sempre calcolati rispetto al citato punto d’urto planimetrico (PPU).

L’applicazione di questo importantissimo principio, consente di verificare quindi, non solo la correttezza degli angoli (inclinazioni) –sulla scena del sinistro –dei vettori delle quantità di moto (e, di conseguenza, anche dei vettori velocità) in arrivo (entrata) ed in uscita (fuga) dall’urto, ma soprattutto – a dimostrazione dell’estrema sua estrema importanza ai fini scientifici e tecnico-sperimentali – la oggettiva e corretta localizzazione (collocazione) del punto planimetrico d’urto (PPU), sulla sede viabile.

La sua corretta applicazione però, richiede molta accortezza e precisione, per tener doverosamente conto del reale comportamento dei corpi (veicoli), durante la delicata quanto complessa fase d’urto reciproco.

Come è ben visibile, lo schema grafico che segue (v.Report 1.), rammostra che tra i veicoli antagonisti A/1 e B/2, si è concretizzato un “urto anelastico persistente”,con discreto scorrimento (ingranamento/compenetrazione) reciproco, delle parti strutturali pervenute violentemente a contatto dinamico/spaziale.

Report 1.  

La fase d’urto infatti, dev’essere intesa come l’intero ciclo delle forze attive (agenti) e reattive (resistenti) che si esplicano dall’istante iniziale dell’urto (o di primo contatto) e che sussistono (persistono) per tutto il tempo in cui i corpi rimangono  a contatto reciproco, manifestando tali forze un qualsiasi effetto (attivo – reattivo).

Nella qualificazione classica della specie degli urti, vengono prese in considerazione certe loro peculiari caratteristiche rispetto:

–      alla direzione della linea d’urto del corpo urtante, rispetto al baricentro del corpo urtato (centrati od eccentrici);

–      agli effetti di reazione delle forze d’urto agenti (elasticiparzialmente elasticianelastici);

–      all’andamento rettilineo o curvilineo del moto del corpo urtante (diretti o tangenziali);

–      alla potenza (velocità d’urto) delle forze attive o reattive in gioco (deboli o violenti);

–      al numero ed al tipo dei mobili (veicoli) implicati nella collisione (semplici o variamente complessi);

–      alla durata del contatto dinamico/spaziale (urto) dei corpi venuti a collisione e da essa vincolati [urti istantanei (impulsivi) o poco persistenti, oppure urti molto persistenti o di notevole durata].

In relazione a quest’ultima definizione, l’urto persistente si caratterizza pertanto per la sua notevole durata, che risulta mediamente anche 4 ÷ 5 volte superiore di quello istantaneo (impulsivo) o di brevissima durata.

Delle tre fasi classiche in cui si suole ripartire un urto (deformazione/compenetrazione delle strutture – culminante di massima compressione ed inizio restituzione – restituzione) infatti, nell’urto impulsivo (istantaneo) la durata della fase violenta di deformazione è valutabile mediamente in circa 50 millisecondi (ms), mentre in quello persistente (elevata durata), la durata della stessa fase è notevole perché – come già riferito – non risulta mai inferiore ai 200 ÷ 250 millisecondi se non di più.

È ben comprensibile perciò come nell’urto persistente, in realtà si verificano tutta una serie di urti in successione fulminea tra loro, intramezzati dalle effimere fasi di assestamento delle masse (strutture) in conflitto, che consentono però la continuità e l’esaurimento del lavoro meccanico di deformazione dissipato (Ld).

In questo lasso di tempo perciò, nel complesso gioco delle forze che scaturiscono dal serbatoio dell’energia cinetica ceduta nella fase culminante dell’urto [Ld = (1 – k2) × Eu], queste forze d’urto si compongono e si scompongono rapidamente, secondo linee di deformazione e reazione di vario senso e direzione, consentendo così ai mobili (corpi) in conflitto, oltre ad acquistare reciproche accelerazioni lineari (positive o negative), anche di subire apprezzabili traslazioni e rotazioni (accelerazioni angolari), rispetto all’assetto iniziale di arrivo (entrata) al contatto dinamico reciproco (urto).

In buona sostanza, per questi urti definiti appunto persistenti – come certamente fu quello rappresentato nello schema che segue (v. Report 2.) – oltre a forze radiali (normali) al piano d’urto, si generano anche forze tangenziali al piano di reciproco contatto, che producono momenti rotatori dei mobili in conflitto, i quali però non si effettuano più attorno ai baricentri delle rispettive masse urtatisi, ma si incardinano nei punti di vincolo (punti d’impulso), al cessare dei quali i mobili si slacciano con le apparenze di una repulsione spiccatamente elastica (effetto Pennesi).

Dette forze radialie tangenziali (segnate in rosso nella prima I e II fase dell’urto, ed in verde  nella III fase), sono ben evidenziate nel primo schema, che precede (cfr. Report 1.).

Report 2.

Per tener debito conto di questi fenomeni, ed apportare i necessari correttivi ai relativi programmi informatici, anche nei Manuali operativi dei vari simulatori d’urto PC-CRASH, per la ricostruzione meccanica degli incidenti stradali, gli impatti (urti) vengono distinti, ai fini del calcolo, in:

–      impatti pieni (full impacts), gli urti in cui al termine della fase di massima compressione, si ha una velocità comune (V) in funzione dell’area di contatto dei veicoli in conflitto, senza evidente “scorrimento”  reciproco tra le relative strutture (coefficiente di scorrimento l = 0);

–      impatti di striscio (parziali), gli urti in cui non si raggiunge mai una velocità comune tra i veicoli in contatto nel punto d’impulso (urto), perché esiste un piano di contatto su cui i due veicoli “scorrono” (strisciano) tra loro, e che comprende ovviamente, anche il punto di applicazione della risultante delle forze d’urto (attive o reattive). Per cui in questo caso, il “coefficiente di scorrimento”  tra i corpi interagenti, è diverso da zero (l ¹ 0).

In sintesi, nell’impatto pieno non c’è praticamente od è minimo, il movimento relativo tra i veicoli (corpi) in conflitto, mentre nell’impatto di striscio esiste sempre movimento relativo tra i mobili (rototraslazione), che normalmente si estrinseca alla fine della fase di massima deformazione (compressione/compenetrazione).

Per una corretta applicazione di questo importante  3°principio di conservazione della meccanica degli urti quindi, bisogna distinguere ed analizzare diligentemente, la effettiva configurazione all’urto dei veicoli interessati, nelle due fasi ben distinte: quella ante-urto e quella post-urto, come è ben intuibile nello schema grafico che segue (v.Report 3.), rispetto a quello che precede (v.Report 2.)

Report 3.

E ciò per ricavare i reali parametri necessari al calcolo, per la applicazione di questo fondamentale principio di conservazione dei momenti delle quantità di moto (Qxa) e dei momenti angolari (Jxw), ma soprattutto per una corretta verifica non solo degli angoli (inclinazioni) – desumibili e/o reperibili sulla scena del sinistro – dei vettori delle quantità di moto ( e, di conseguenza anche dei rispettivi vettori velocità) in arrivo (entrata) ed in uscita(fuga) dall’urto dei veicoli antagonisti, ma soprattutto – a dimostrazione dell’estrema sua importanza ai fini scientifici e sperimentali – la oggettiva e corretta localizzazione (collocazione) del punto planimetrico d’urto (PPU), sulla sede viabile.

Infatti, l’errore inescusabile che si riscontra maggiormente nell’applicazione di questo 3° principio di conservazione (dei momenti delle quantità di moto e dei momenti angolari), è quello di ritenere che la posizione  (configurazione) raggiunta dai mezzi all’arrivo (entrata) all’urto, sia sovrapponibile a quella d’uscita (fuga) dall’urto, inserendo nel calcolo gli angoli di fuga (uscita) dal cozzo ed i bracci (a’ e b’) dei vettori delle quantità di moto (Qa’ e Qb’) di questa fase, mantenendo inalterata la posizione dei mezzi, così come desunta nella antecedente fase di arrivo (entrata) all’urto.

Operando in questo modo però, significa ritenere – contrariamente al vero, come sin qui dimostrato – che la reale durata dell’urto non esista o sia talmente trascurabile, tanto da poterla completamente escludere, perché da considerarsi praticamente istantanea.

Come abbiamo sin quì dimostrato invece, così non è nella realtà.

Per meglio comprendere sul punto, le reali motivazioni che ci hanno convinto a redigere il presente articolo, in futuro (non appena sarà possibile, dato che attualmente il procedimento è ancora sub judice), ci ripromettiamo di analizzare compiutamente un caso reale da noi seguito, unitamente ad altri ben nove colleghi Analisti/Ricostruttori. Trattasi di un grave incidente mortale, nel quale – per la mancata e/o erronea applicazione di tutti e tre i principi di conservazione della meccanica degli urti, più sopra illustrati – è stato addirittura prosciolto il responsabile e maggior indiziato, ed invece indagata la vittima (che ha perso il fratello), che ora rischia un indebito rinvio a giudizio, a causa di una inverosimile ricostruzione degli eventi, da parte dei colleghi nominati dall’Autorità inquirente.

Per cui si raccomanda all’attento Analista/Ricostruttore che, sul punto, egli debba sempre approfondire in ogni direzione lo studio del caso a lui sottoposto, per tener doverosamente conto di tutti i complessi fenomeni sviluppantisi nella fase culminante del conflitto dinamico spaziale (urto) tra i veicoli antagonisti e che, con queste nostre poche righe, abbiamo tentato semplicemente di illustrare.

Per. Ind. Luciano BRENTONEGO