"..Articolo completo gentilmente ricevuto dall'Autore Per. Ind. Luciano BRENTONEGO e già pubblicato solo parzialmente sul nr.10/2006 di FOLIO -Organo Ufficiale del C.N.P.I. di Roma ".
LA RICOSTRUZIONE DELLA MECCANICA DI UN SINISTRO STRADALE:
Aspetti metodologici e pratici
Come tanti altri colleghi, curiosi e/o interessati operatori del settore, ho letto attentamente gli articoli d’Infortunistica Stradale redatti dai colleghi dello Studio Pierdamiano DURIA di Udine, e pubblicati su FOLIO nr. 11 – 12/2005 – pag. 51 e ss. e nr. 06/2006 – pag. 34 e ss..
Ebbene, riservandomi di approfondire in futuro altri importanti argomenti trattati dai colleghi, vorrei per ora fissare l’attenzione su quanto scritto sul coefficiente di attrito, a pag. 54 di FOLIO – nr. 11 -12/2005.
In particolare, sul calcolo della velocità di un mobile sulla sola base della natura ed estensione delle tracce di frenatura radente, tenendo conto o meno della dipendenza del suo valore effettivo (attrito cinetico), con la velocità del veicolo impressore.
L’esempio riportato nell’articolo in esame è chiaro, ma ritengo meriti un’analisi critica più approfondita, affinché – sul delicato tema – chiunque possa verificarne l’effettiva congruità ed attendibilità con la sperimentazione, l’esperienza e la realtà con cui ci confrontiamo tutti i giorni.
Ai fini infortunistici ed in caso di arresto completo di un mobile, si possono considerare due casi fondamentali:
1)- che il veicolo abbia potuto esaurire la propria decelerazione in modo “naturale”, cioè soltanto per effetto dell’azione frenante e delle altre resistenze al moto per attriti vari (freno motore, del mezzo,ecc.). A tal caso, possono venir ricondotti tutti quegli incidenti in cui l’enorme differenza tra le energie cinetiche e le masse (caso di un pedone fermo od in movimento trasversale investito da un veicolo) dei mezzi venuti a collisione, siano tali da poter considerare nulla o quasi, l’azione di contrasto svolta da un qualsiasi altro corpo o mezzo urtato – quale interposto ostacolo – alla decelerazione dell’altro urtante.
2)- che uno dei mezzi, o tutti i mezzi coinvolti, abbiano incrementato a causa dell’urto, l’intensità decelerante per il mutuo contrasto che essi, col loro frapporsi al moto dell’altro, esercitano sulle rispettive decelerazioni.
Il caso “classico” perché il peggiore che possa verificarsi, è quello rappresentato dall’urto frontale (urto diretto centrato per opposte direzioni – scontro): se immaginiamo una determinata velocità alla quale i veicoli si scontrano (che in questo caso si sommano), ben possiamo avere evidente il concetto di decelerazione cui i veicoli sono sottoposti, sol che si considerano il brevissimo lasso di tempo (che è poi quello di durata dell’urto, come sappiamo valutabile in millisecondi) ed il minimo spazio (dato sostanzialmente dalla “misura/profondità” del rispettivo incuneamento o schiacciamento delle strutture dei veicoli interessate all’urto), in cui la differenza di velocità assorbita nel violento cozzo o ?V (dV), da un certo valore si riduce a zero.
Gli effetti pertanto, sia sui veicoli che sui trasportati, saranno sempre più catastrofici con decelerazioni sempre più elevate. Volendo riepilogare con un semplice grafico (v. Fig. 1 – 6, che seguono), le varie decelerazioni cui è sottoposto un veicolo in un determinato periodo “T”, intercorrente tra la velocità di crociera (Vc) del mezzo, al momento della percezione del pericolo, ed il suo completo arresto (posizione statica) cui evidentemente corrisponde una velocità zero (Vo = 0), potremmo avere i due casi citati prima:
1° caso: fermata senza urto intermedio (v. Fig. 1):
Fig. 1
Indicando con:
d1 – prima decelerazione intercorrente dal momento in cui si è tolto il pedale dall’acceleratore per portarlo su quello del freno (è la decelerazione più lenta, perché la velocità è la maggiore ed intervengono solo l’attrito di rotolamento – freno motore se la marcia al cambio è innestata, e le altre resistenze varie, certamente di piccola entità);
d2 – seconda decelerazione (che talvolta si può confondere con la prima), intercorrente dal tempo in cui l’azione meccanica esercitata sul pedale del freno diventa efficiente sulle ruote (minima efficacia), dando inizio alla frenatura volvente: in proposito ricordiamo il freno più o meno “tirato o puntato”, come si dice in gergo;
d3 – terza decelerazione, in piena fase volvente (o di massima aderenza); d4 – quarta decelerazione, in fase radente piena (o di pattinamento).
Chiariamo ora il concetto di frenatura in rapporto alle fasi cinematiche e dinamiche dell’incidente.
Posto: Vv – Velocità del veicolo in movimento; VR – Velocità periferica della ruota,
si evidenzia che in fase di aderenza, la velocità periferica della ruota è uguale alla velocità del veicolo; perciò ogni punto successivo della ruota (pneumatico) corrisponde ad un punto successivo della pavimentazione stradale, per cui di norma, non si hanno tracce di frenatura sulla carreggiata (VR = Vv).
Nella fase di volvenza, la velocità periferica della ruota diviene progressivamente inferiore (sempre più: stiamo parlando di azione frenante progressiva) a quella di tutto il veicolo, in quanto la ruota viene progressivamente bloccata sotto la remora dell’impianto frenante.
Di conseguenza la ruota viene parzialmente “trascinata” ed ogni suo punto sopravanzerà quello della pavimentazione stradale che, in caso di piena aderenza, gli sarebbe stato corrispondente.
Si cominceranno quindi ad avere leggere tracce di frenatura, progressivamente sempre più marcate, dovute allo “scorrimento” variabile della ruota (pneumatico) sul piano stradale (VR < VV).
Nella fase di radenza, la velocità periferica della ruota – essendo questa completamente bloccata dal freno – sarà uguale a zero, mentre il veicolo è ancora in movimento per raggiungere la stazione finale d’arresto (VR = 0; VV ≠ 0 ). La ruota pertanto, verrà trascinata per inerzia dal veicolo, “pattinando” sulla via, ed ad ogni suo punto (zona) determinato (sempre il medesimo !), corrisponderanno quelli successivi della pavimentazione stradale.
Le tracce di frenatura saranno perciò molto marcate e quindi anche ben visibili ed individuabili dai rilevatori del sinistro. Si evidenzia però che le “tracce gommose” vere e proprie, sono effetto di un attrito radente (cinetico), le cui superfici a contatto reciproco sono il pneumatico e la strada, tale da trasformare in calore sia l’energia cinetica del mobile, sia – in caso di discesa – l’eventuale lavoro motore.
E’ il caso di sottolineare che in definitiva, l’effetto dell’attrito in fase volvente, visibilmente non si manifesta sulla strada tranne che in piccoli segni (orme – scie gommose), giacchè si tratta di una manifestazione sostanzialmente diversa dal contatto e dall’attrito radente tra pavimentazione e pneumatico.
In merito si ricorda che se la velocità periferica della ruota (VR) non sarà molto difforme da quella di traslazione del veicolo, (Vv) nelle manifestazioni di “pattinamento” o di “moti aberranti” (sbandamento – deriva – scarrocciamento,ecc.), sulla pavimentazione non si verificherà uno scorrimento eccessivo delle ruote, cui conseguirà un elevato coefficiente di aderenza, e quindi un’azione frenante di efficacia massima, flebilmente rilevabile appunto da “orme o scie gommose” e non da “strisciate” evidenti, dovute al vero e proprio “pattinamento” della ruota interessata.
Quanto sopra, come norma di comportamento, sta a dimostrare che a velocità notevole (sui veicoli sprovvisti di ABS) non è mai opportuno effettuare un rapido bloccaggio delle ruote (giacchè l’aderenza è al minimo), bensì effettuare un’azione frenante progressiva e modulata, in ragione inversamente proporzionale alla diminuzione di velocità del mezzo.
Il bloccaggio a fondo delle ruote invece, è preferibile a velocità modeste in quanto, in tali condizioni, è minima la differenza tra la velocità della ruota e quella del veicolo, e notevole (elevato) il relativo coefficiente di aderenza ruota – strada (v. Fig. 2).
Sia dunque regola fondamentale di guida, quella di non provocare mai in definitiva, divari notevoli tra la velocità periferica della ruota (VR) e la velocità del veicolo (VV): così operando infatti, si utilizzerà sempre il più elevato coefficiente di aderenza e si eviteranno al massimo, pericolosi pattinamenti e/o scarrocciamenti del mezzo.
Questo è il principio funzionale ispiratore del dispositivo A.B.S. (Antilok – Braking – System ), ormai installato su quasi tutti i veicoli di nuova costruzione, ben evidenziabile dai grafici che seguono (v. Figg. 3 – 4 – 5).
I quali, ben determinano le differenze di valore sperimentale dei coefficienti di aderenza (fx) e di radenza (f’x), rispetto allo scorrimento percentuale (s%) tra pneumatico e pavimentazione stradale: di un veicolo senza dispositivo ABS (v. Figg. 3 – 4); di un veicolo provvisto di dispositivo ABS (v. Fig. 5).
L’esame di queste curve sperimentali per la determinazione dei coefficienti di aderenza (fx) e di radenza (f’x), in relazione allo scorrimento/slittamento percentuale e fino al bloccaggio completo della ruota soggetta alla remora del freno (s% = 100%), evidenzia incontrovertibilmente che:
– sul veicolo sprovvisto di ABS, il valore massimo dell’aderenza ed il successivo quasi istantaneo bloccaggio della ruota (VR = 0), si registrano intorno al 20 ¸ 30% di scorrimento/slittamento (s%) tra ruota e pavimentazione stradale. Inoltre, il decadimento del coefficiente di attrito radente (f’x) rispetto al picco di aderenza massima (fx), può arrivare mediamente intorno al 10 ¸ 20%, per poi stabilizzarsi definitivamente a ruota bloccata (in pattinamento);
– sul veicolo dotato di dispositivo ABS invece, l’aderenza tra ruota e piano stradale è praticamente sempre garantita fino al possibile (ancorché improbabile) bloccaggio completo della ruota (VR = 0), mantenendo valori massimi del relativo coefficiente (fx), che può al limite degradarsi mediamente non più del 5 ¸ 10%, rispetto al momento dell’intervento del dispositivo ABS. E’ ovvio che un impianto ABS in perfetta efficienza, pur in presenza delle diverse e precarie condizioni del manto stradale (bagnato,neve,ghiaccio,ecc.), manterrà sempre lo scorrimento (s%) massimo tra ruota e pavimentazione stradale intorno al 20%, appunto per sfruttare in quel campo d’intervento, il valore massimo del coefficiente di aderenza (fx) e la piena manovrabilità del mezzo.
2° caso: Fermata con urto intermedio (v.Fig.6):
Fig. 6
Il grafico si ripete esattamente come nel 1° caso (v. Fig. 1) da Vc a V1, ma varia da V1 a V0 interponendosi una velocità V – quella al momento o attimo dell’urto (entrata ed uscita da esso) – e quindi una successiva decelerazione d5 molto più rapida delle precedenti, e con “anticipo” di V0, rispetto alla posizione d’arresto precedente (v. Fig. 6).
Non a caso è stata indicata la decelerazione d2, poiché può capitare che si faccia, della decelerazione intercorrente tra l’attimo in cui viene tolto il piede dall’acceleratore e posato sul freno, e l’attimo dell’inizio dell’azione frenante sulle ruote (fase volvente), fino a raggiungere il bloccaggio delle ruote stesse (fase radente), un sol fascio.
In realtà per le due fasi, tale tempo varia molto, in relazione ai diversi apparati frenanti che trasmettono alle ruote gli effetti delle sollecitazioni prementi sul pedale, alle reazioni psicofisiche del conducente ed a quelle ambientali.
Rifacendosi agli schemi già riportati più sopra (v. Fig. 1 – 6), è evidente – anche attraverso un semplice richiamo alla realtà quotidiana sperimentabile da qualsiasi conducente – che la velocità all’inizio della frenatura volvente (V2), è superiore a quella all’inizio della frenatura radente (V1).
Il problema però, è stabilire: di quanto ?
Certamente – rifacendoci alla velocità di un veicolo coinvolto in un incidente stradale – non sarà mai possibile stabilirla con assoluta esattezza, sia pure pretendendo quell’“esattezza approssimata” ottenibile all’inizio della fase di frenatura radente.
Questo perché, mentre in quest’ultimo caso abbiamo come parametro oggettivo, la lunghezza della traccia di frenatura, che ci denuncia un certo comportamento del conducente (intensità, andamento,ecc.), nulla per la fase di frenatura volvente (quel qualcosa di orma o scia lasciata in fase di attrito volvente non è assolutamente attendibile o meglio, il più delle volte, non perfettamente identificabile) ci consentirà mai di stabilire con certezza, dei dati dipendenti in linea diretta ed esclusiva dal “gioco del traffico”, inteso come “comportamento del conducente sul pedale del freno”, che non lascia traccia alcuna al suolo.
Si potrà semmai arrivare, attraverso esperimenti con mezzi analoghi e su strade simili, a determinare un valore limite minimo, invalicabile e come tale, poter essere utile – in taluni casi – a smentire dichiarazioni di conducenti non sinceri e/o assolutamente incompatibili con la dinamica dei fatti analizzati.
Per ottenere questo dato minimo, si sono sperimentati vari metodi, tendenti tutti a determinare il tempo minimo occorrente affinché un conducente medio, senza soluzione di continuità nei suoi rapporti con la pedaliera, tolga il piede dall’acceleratore e lo posi sul pedale del freno, per dare inizio all’azione frenante vera e propria, fino al massimo della sua efficienza.
In letteratura diversi sono gli studi sperimentali fatti in merito nel tempo, ma quello più attendibile – a mio avviso – rimane ancora quello americano, di cui alla seguente Tabella:
Premesso che la reazione dei conducenti a stimoli visivi è alquanto più lenta di quella a stimoli uditivi o tattili, dalla Tabella riportata si evince che, a mano a mano che diventa più difficile reagire ad un determinato tipo di stimolo, aumenta il tempo richiesto per la corrispondente reazione psicotecnica.
Il tempo medio per lasciare l’acceleratore infatti, risulta pari a circa 0,23” secondi, mentre quello per premere successivamente anche il pedale del freno, diventa pari a circa 0,46” secondi.
Con un’ampiezza del “range” temporale quindi, stimabile in circa 0,20” secondi minimi, per lasciare l’acceleratore, e di circa ulteriori 0,30” secondi massimi, per premere successivamente il piede sul pedale del freno, fino all’inizio della fase di frenatura radente.
Più complessa risulta invece la doppia manovra sulla pedaliera per premere il pedale dell’acceleratore (anziché toglierlo) e sterzare contemporaneamente, la quale richiede un tempo complessivo notevole, mai inferiore a 0,60 ¸ 0,70 secondi.
Ciò è dovuto al fatto che questa insolita reazione, si determina al modificarsi in maniera inusuale e sorprendente della situazione di scena, tale da esigere decise contromanovre (accelerare anziché frenare) atte ad evitare ostacoli imprevisti e/o imprevedibili, comportanti un grave pericolo immediato al conduttore del veicolo.
La misura dell’intervallo psicotecnico in condizioni psicofisiche normali del conducente, varia come sappiamo da 0,75 secondi a 1,0 secondi; in stato di pre-allarme e con attenzione già orientata, esso è fissato intorno a 0,75 secondi.
Ovviamente devonsi considerare eventuali aumenti di questi tempi per speciali circostanze (stanchezza alla guida, automatismo nella conduzione del mezzo, sonnolenza, nebbia,ecc.). La più importante delle quali, è certamente quella relativa al fattore “sorpresa” , legato all’isteresi psichica che colpisce il conducente, sorpreso all’ultimo istante da una situazione (apparente o virtuale) di gravissimo ed immediato pericolo.
Ebbene, tutti gli studi sperimentali sul punto, hanno confermato che questa pericolosa fase d’isteresi psichica che colpisce il conducente, causata dal fattore “sorpresa” dell’evento, richiede un tempo che va da un minimo di circa 0,50 secondi per le situazioni più semplici, ad un valore indefinibile (anche fino a 3 ¸ 4 secondi) per le situazioni più complesse.
Riepilogando sul punto e fissare quindi le idee, si può ben dire che il tempo psicotecnico PIEV normale può variare da un minimo di 0,75 s (attenzione alla guida ben orientata) ad un massimo di 1,0 s (normale condotta senza spiccato automatismo alla guida).
Se abbinato al fattore “sorpresa”, questo tempo minimo PIEV può aumentare fino a 1,25 s (0,75 + 050 = 1,25 s) per un conducente in pre-allarme ed attenzione alla guida già orientata, per arrivare fino a 1,50 s (1,0 + 0,50 = 1,50 s) per un conducente in condizioni di guida normali, cioè senza spiccato automatismo nella guida.
Ovviamente, oltre a tutti questi tempi, bisogna considerare – ai fini dell’azione frenante invisibile (volvente) – i tempi meccanici (tm) necessari per l’entrata in funzione a pieno regime dei freni che, come abbiamo visto, variano da un minimo di 0,10 ad un massimo di 0,30 secondi circa, con una media praticamente valutabile intorno a 0,20 secondi. Questi parametri temporali, diventano fondamentali per determinare lo spazio invisibile della “fase volvente” della frenatura e che precede sempre quella “radente”, con o senza urto intermedio contro ostacoli od altri veicoli, prima dell’arresto definitivo del mezzo. Le relative velocità del veicolo poi (di crociera, inizio volvenza, inizio radenza,ecc.), vengono determinate in funzione anche delle rispettive decelerazioni (d1 – d2 – d3, ecc.), tenuto conto del corrispondente coefficiente d’attrito (aderente – volvente – trasversale al moto,ecc.) applicabile al caso di specie.
Orbene, analizzando il caso specifico riportato nell’articolo in esame, ed applicando le usuali Tabelle sperimentali (v. Fig. 2), è facile determinare in modo abbastanza attendibile, la velocità del mobile con riferimento all’estensione delle sole tracce di frenatura radente.
Fa presente sul punto il collega DURIA che, per non commettere errori, bisognerebbe tener conto sempre del valore effettivo del coefficiente d’attrito, considerata la sua dipendenza con la velocità del veicolo, nella ultronea considerazione poi, che esso diminuisce con l’aumentare della velocità, ed inversamente, aumenta col diminuire sia della velocità, che dello scorrimento/slittamento (%) della ruota sul piano stradale (v. Fig. 7, che segue).
Il problema fondamentale quindi, diventa quello di stabilire il metodo più attendibile per poter determinare, con assoluta congruità e compatibilità, detto valore effettivo del coefficiente d’attrito (volvente – radente -trasversale al moto,ecc.) ricercato.
Per dimostrare quanto sia possibile modificare (modulare) a piacimento una ricostruzione della meccanica di un sinistro stradale (soprattutto in ordine ai tempi ed agli spazi di avvistamento e/o frenatura, più che per le velocità) da parte di un Tecnico ricostruttore inesperto o peggio ancora intellettualmente poco corretto, si analizzerà in profondità l’esempio citato nell’articolo dal collega, per arrivare alla conclusione che non bastano tutti i software dedicati del mondo, per poter dire con assoluta certezza, che la simulazione proposta dell’evento infortunistico anche con appositi filmati, sia assolutamente esatta. In parole povere, tutti quei colleghi Ricostruttori che operano con software specifici “già pronti” per la ricostruzione della meccanica (cinematica e dinamica) dei sinistri stradali (PC-CRASH della DSD in diverse versioni; CRASH 3; EDSVS dell’americana MSC che utilizza il motore del Nastran, ecc.), potrebbero incautamente auto convincersi, alla fine di questa analisi cinematica-dinamica dell’evento, di aver – permettendo tali software di visualizzare con un filmato la simulazione del fatto infortunistico in esame – effettivamente ricostruito la realtà dei fatti, agendo per semplice “sovrapposizione”, tra la posizione iniziale dei mezzi ricavata dall’ipotesi ricostruttiva proposta, e la posizione di quiete raggiunta dal mobile e rilevata in sito dagli accertatori sulla scena del sinistro. In sintesi, la simulazione proposta dell’incidente e visualizzata attraverso un bel filmato, senza uno scrupoloso controllo analitico-dinamico, potrebbe erroneamente venir considerata tanto più esatta, quanto più i corpi ed i mezzi coinvolti si “avvicinano” alle rispettive posizioni di quiete, rilevate dalle Autorità intervenute (Polizia – Carabinieri – Vigili urbani,ecc.).
E questo appunto, procedendo per pura e semplice “sovrapposizione”, senza render doverosamente conto cioè, all’ignaro e talvolta inesperto osservatore (avvocato – Magistrato, ecc.), dei possibili errori/imprecisioni, come degli effettivi parametri e/o algoritmi usati, nella simulazione proposta dell’evento.
Operando in senso contrario invece – sempre nei confronti del medesimo inesperto osservatore in buona fede – al fine di contrastare “ex adverso” una tesi contraria, sostenuta dal collega di parte opposta (d’Ufficio o di parte che sia; meglio se poco informato sull’attendibilità operativa del software dinamico-analitico usato), basta far vedere sul filmato simulativo della fasi del sinistro esaminato (videoclip) che, con l’introduzione dei parametri da lui proposti e diversamente calcolati (in particolare, partendo dalla velocità iniziale), la tanto decantata “sovrapposizione”, tra la posizione iniziale del mezzo, e la posizione di quiete raggiunta dal veicolo (e rilevata correttamente sul teatro dell’evento, dagli accertatori intervenuti), non si verifica.
Precisamente, usando i seguenti provvidenziali “accorgimenti” :
– se la menzionata velocità iniziale, è utile farla risultare in eccesso (superiore), basta far fermare il mobile sul filmato, oltre il punto d’arresto, effettivamente rilevato sulla platea stradale e restituito su opportuna planimetria in scala;
– se viceversa, la velocità iniziale è utile farla risultare in difetto (inferiore), rispetto a quella sostenuta dall’operatore sul software, basta far fermare il mobile sul videoclip, prima del detto punto d’arresto rilevato.
Questo è uno e neanche il principale, dei motivi per cui questi “software ricostruttivi” della meccanica degli incidenti stradali, non sono mai stati certificati in Italia, giacchè se usati senza la dovuta scrupolosità operativa e preparazione tecnico-scientifica (e qui va tutta la mia solidarietà a quei colleghi che sostengono questa tesi), essi possono simulare una “realtà virtuale”, rendendoli così di fatto del tutto inattendibili, al pari di un qualsiasi altro videogioco reperibile sul mercato (v. FOLIO nr. 04/2005 – pag. 50 e 51 ; FOLIO nr. 01/2006 – pag. 24).
Insomma, in questo particolare e delicato campo della nostra attività interdisciplinare di Ricostruttori, non si sente bisogno della presenza di alcun “ecista o genius loci” bensì di colleghi seri, ben preparati, che sappiano fare sicura scelta di obiettivi da raggiungere, impegnandosi in prima persona con tenacia e fatica per realizzarli, intelligenza, onestà intellettuale e capacità di spiegarli.
In una parola, fare sperimentazione vera e propria, senza “timori” di sorta.
A conferma purtroppo, di quanto sin qui illustrato, e cioè che questa discutibile prassi viene adottata tutt’altro che sporadicamente e/o solo da qualche Ricostruttore non in perfetta buonafede, si riporta quanto scritto da un illustre collega nel suo elaborato tecnico, nell’estremo tentativo d’incautamente avvalorare l’assoluta affidabilità – da noi ovviamente motivatamente e fruttuosamente contestata – della sua ricostruzione dell’incidente dinanzi al Giudice con PC-CRASH 7.1a.
Testualmente, ha scritto il collega: “..Va infine precisato, che la ricostruzione può ritenersi correttamente eseguita se il programma fa evoluire i veicoli in modo tale da portarli nelle rispettive posizioni di quiete rilevate e da far loro ricalcare le tracce eventualmente rilevate sulla scena del sinistro.”.
Come si intuisce quindi, tutto viene affidato “al programma” che, per correttamente operare e render valida così l’intera ricostruzione dell’incidente analizzato, deve solamente “sovrapporsi” e calcare le tracce dei mobili, repertate sul teatro degli eventi.
Per la delicatezza e serietà del problema sollevato, approfondirò questo caso in seguito, non appena mi sarà possibile, giacchè esso è ancora sub judice.
Restando al nostro esempio invece, e fissata dall’esperienza una velocità del mobile all’inizio della frenatura radente (V1 – v. Fig. 1), probabilmente compresa tra i 70 e 75 km/h, vediamo ora come sia possibile determinare tutti gli altri elementi (velocità, decelerazioni,spazi,ecc.) necessari per risalire attendibilmente, alla velocità di crociera (Vc) del mezzo.
E ciò, alla luce delle considerazioni tutte sin qui esposte.
Dalla nota Tabella (v. Fig. 2), scegliamo il coefficiente (f’x) di attrito cinetico (radente), relativamente alla “velocità media” presumibile del nostro veicolo, determinata partendo da quella minima iniziale del moto considerato (V1 = 70 Km/h; V0 = 0; Vm = 35 km/h).
Detto coefficiente cinetico (f’x) risulta pari a 0,67, per cui tenendo conto dell’estensione delle tracce visibili di frenatura rilevate (30 metri), si ricava:
V1 = √2•9,81•0,67•30 = 19,86 m/s, corrispondenti a circa 72 km/h.
La velocità (V2) all’inizio della fase di frenatura volvente, considerato l’intervallo di tempo meccanico necessario alla piena entrata in funzione dell’impianto frenante (tm = 0,10 ¸ 0,30 secondi), diventa (d3 = 0,46 × 9,81 = 4,51 m/s2; dm = 0,46 × 0.5 × 9,81 = 2,25 m/s2):
V2.1 = 19,86 + 0,10 x 4,51 = 20,31 m/s, corrispondenti a circa 73 km/h
V2.2 = 19,86 + 0,30 x 2,25 = 20,53 m/s, corrispondenti a circa 74 km/h, con un errore percentuale massimo di: ? V2% = [(20,53-20,31) /20,53] •100 = 1,08%, assolutamente compatibile con le normali esigenze ricostruttive dell’evento.
La velocità (V3) del veicolo, al momento in cui togliendo il piede dall’acceleratore, lo si posa per poi premere sul pedale del freno (d2 » 1 m/s2; t = 0,20 s), diventa così compresa tra:
V3.1 = 20,31 + 1 × 0,20 = 20,51 m/s, pari a 74 km/h; V3.2 = 20,51 + 1 × 0,20 = 20,71 m/s, pari a 74,50 km/h
Come si vede pertanto, la velocità (V3) al momento d’inizio della reazione psicotecnica del conducente, risulta pressoché identica per entrambi i casi considerati (d1 = 4,51 m/s2; dm = 2,25 m/s2) del “range” temporale considerato.
Di conseguenza la velocità (Vc) di crociera del veicolo, al momento della percezione del pericolo (tr » 1 s), senza considerare il fattore “sorpresa”, risulterà ancora pressoché uguale in entrambi i casi considerati:
Vc.1 = 20,51 + 1 × 1 = 21,51 m/s, pari a circa 77 km/h; Vc.2 = 20,71 + 1 × 1 = 21,71 m/s, pari a circa 78 km/h
Alla luce dei risultati conseguiti quindi, ben potrà sostenere il Tecnico Ricostruttore, che il veicolo al momento della percezione del pericolo, viaggiava ad una velocità di crociera (Vc) non inferiore a 75 km/h, o meglio compresa tra 75 ed 80 km/h. E’ bene ricordare sempre infatti, che il Perito ed il Consulente Tecnico d’Ufficio deve riferire al Giudice che l’ha nominato, sulla congruità, attendibilità e compatibilità dei valori dedotti dall’analisi tecnica dei dati obiettivi reperiti, prodotti e/o presenti in atti, come possibili ordini di grandezza, e non mai in riferimento alla loro assoluta certezza e precisione.
Verifichiamo ora gli spazi corrispondenti alla ricostruzione effettuata, partendo dal valore prefissato dell’estensione reale delle tracce di frenatura radente rilevate: S1 = 30 metri.
Lo spazio percorso (Sv) nella fase volvente, sarà compreso tra (tm1 = 0,10 s; tm2 = 0,30 s): Sv.1 = [( V2.1+ V1) /2] • tm1 = [(20,31 + 19,86)/2•0,10]•0,10 =2,00 metri Sv.2 = [(20,51 + 19,86)/2]•0,30 = 6,05 metri Per cui lo spazio (S2) d’inizio frenatura volvente, rispetto alla posizione d’arresto (fermo) del veicolo, diventa stimabile all’interno di questi due valori: S2.1 = 30 + 2 = 32 metri ; S2.2 = 30 + 6,05 = 36,05 metri Come per gli spazi successivi, si noti subito la notevole differenza dei rispettivi valori in gioco (oltre 4 metri), pur in presenza di una sostanziale parità della velocità (V2) calcolata in precedenza (» 74 km/h). Lo spazio (S3) rispetto all’arresto, risulta pertanto compreso tra: S3.1 = 32 + [(20,51 + 19,86)/2]•0,30 = 32 + 4,08 = 36,08 metri S3.2 = 36,05 + [(20,71 + 20,53)/2]•0,30 = 40,17 metri
E’ possibile dedurre pertanto, che il punto in cui si poteva trovare il veicolo, al momento della percezione del pericolo (o d’inizio del tempo di reazione psicotecnica PIEV), rispetto alla posizione d’arresto del mobile, è collocabile sulla carreggiata ad una distanza compresa tra (d1 » 1 m/s2; tr = 1 secondo):
Sc.1 = 36,08 + [(21,51 + 20,51)/2]•1 = 57,09 metri Sc.2 = 40,17 + [(21,51 + 20,71)/2]• 1 = 61,28 metri,
con una differenza appunto di oltre 4 metri, spazio senz’altro notevole in Infortunistica Stradale ai fini ricostruttivi, talvolta determinanti sia per una attendibile ricostruzione dell’evento, sia per una corretta attribuzione delle relative responsabilità (nesso di causalità), del sinistro analizzato.
A questo punto, non ci resta che l’ultimo punto da chiarire nell’esempio in esame.
Precisamente: capire da dove saltano fuori quei 44 metri circa, percorsi in frenata radente e ritenuti necessari per fermare il nostro veicolo da una velocità (V1) di 20,30 m/s, a velocità nulla (V0 = 0).
Sempre dalla citata Tabella dei coefficienti sperimentali d’attrito radente (v. Fig. 2), si ricava che alla velocità iniziale (Vc) compresa tra 70 e 75 km/h, detto coefficiente massimo (f’x) risulta pari a 0,48.
Ebbene, per verificare l’improponibile applicazione della descritta pratica della semplice “sovrapposizione” col software dedicato, tra la posizione di partenza e quella di quiete dei mobili, rilevata dalle Autorità e riferita al nostro caso, si otterrà:
= 43,75 metri, ben arrotondabili in quei circa 44 metri, indicati dal collega nel suo articolo.
Sulla congruità, attendibilità e compatibilità del dato testè ricavato, ognuno di noi potrà esprimersi come meglio crede. Sta di fatto che una cosa è comunque certa, e cioè che gli ultimi dati sperimentali reperibili sul punto (Quattroruote nr. 609 – Luglio 2006), soprattutto per autoveicoli dotati di dispositivi ABS ed ESP, risultano in sicura controtendenza rispetto a quanto sopra evidenziato, determinando coefficienti di aderenza medi (fx) sull’asciutto (v. Fig. 8), addirittura prossimi all’unità (fx » 1):
Fig. 8
Per concludere questa nostra semplice dissertazione, una notizia sui pericoli causati dall’uso dell’auricolare in auto.
Una telefonata al volante, può essere infatti molto deleteria per la sicurezza, quanto mettersi alla guida con quattro drink in corpo. Lo dicono i ricercatori dell’Università dello Utah (USA), che hanno esaminato il comportamento di 40 automobilisti in un simulatore. Inoltre, l’uso di un auricolare peggiora notevolmente le prestazioni al volante: al telefono, è risultato che servono mediamente 70 millisecondi (millesimi di secondo) in più, per reagire ad un pericolo (ostacolo).
Nella condizione peggiore quindi (e cioè con un tempo massimo sperimentato di circa 140 ms), viaggiando a 90 km/h (25 m/s), l’auto si fermerà 3,50 metri più avanti del previsto, a causa dell’ulteriore dilatazione del tempo psicotecnico PIEV di reazione, necessario alla manovra di arresto del mezzo. Pertanto, dopo quanto illustrato, è proprio il caso di dire: “A buon intenditor……” .
Note bibliografiche: – E.Stagni : “Meccanica della locomozione”; – Matson – Smith – Hurd : “Tecnica del traffico stradale”; – U.Sterlicchio : “Infortunistica stradale: calcoli di cinematica”; – P.Ferrari : “Infortunistica stradale scientifica”; – G.C Genta : “Meccanica dell’autoveicolo”; – C.Garbelli : “Infortunistica stradale”; – M. Guiggiani : “Dinamica del veicolo”; – M.Maternini : “Trasporti (Tecnica)”.